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Welforum.it: intervista a Claudia Fiaschi

Sul sito promosso dall’Associazione per la Ricerca Sociale (ARS), un’approfondita intervista alla portavoce del Forum Terzo Settore.

Disponibile a questo link e di seguito:

Una delle chiavi di lettura che ci hanno accompagnato per tutto il percorso della riforma ha riguardato il tentativo di equilibrare l’aspetto unificante (il terzo settore come soggetto unitario e dunque sottoposto a normative uniformi) con le specificità introdotte nel corso degli anni attraverso le leggi di settore (volontariato, cooperazione sociale, associazionismo, ecc.). Alla luce dei decreti, possiamo ritenere questo equilibrio soddisfacente? Quali aspetti sono positivi e quali negativi? Rispetto a quelli negativi, va chiamata in causa solo la miopia del governo o anche un ruolo conservativo di taluni soggetti di terzo settore?

Quello di aver dato una definizione specifica e univoca al Terzo settore è uno dei risultati più importanti del processo di riforma, iniziato ormai circa tre anni fa. Un provvedimento di questo tipo lo aspettavamo da oltre venti anni, e finalmente ora possiamo dire con grande soddisfazione che ai vari enti non profit che svolgono attività di interesse generale, perseguendo finalità civili, sociali o mutualistiche, è riconosciuta un’identità comune, e che a loro è attribuito un ruolo preciso nella società: quello della costruzione di un modello di sviluppo inclusivo e sostenibile. Attualmente con i decreti non si è raggiunta una completa armonizzazione della materia e non c’è stato l’effettivo superamento delle diverse discipline esistenti: il Codice del Terzo settore tralascia, ad esempio, le norme che riguardano le associazioni di tutela dei consumatori, di cooperazione allo sviluppo, gli enti sportivi dilettantistici ecc… Un correttivo è stato trovato nell’aggiunta di una specificazione secondo cui le disposizioni del Codice si applicano, se compatibili, anche agli enti di Terzo settore che hanno una disciplina particolare. In generale rimangono alcuni spazi di incertezza, ma il Governo ha altri 12 mesi per modificare e migliorare le norme. Siamo fiduciosi che la posizione del Forum, frutto della sintesi – non sempre semplice, ma sicuramente efficace e lungimirante – dei punti di vista delle associazioni che rappresenta, sarà presa in considerazione come lo è stata finora.

Quali sono a suo avviso le conseguenze pratiche di maggiore rilievo per il terzo settore, cosa cambierà in sostanza per effetto dei decreti? E di questo da una valutazione positiva o negativa? Cosa avrebbe invece ritenuto opportuno che cambiasse e resterà invece invariato?

Per quanto riguarda le conseguenze pratiche dei decreti ci sarà da aspettare ancora qualche mese prima di avere una panoramica generale. Bisogna infatti considerare che nel prossimo anno dovranno essere emanati oltre trenta provvedimenti per rendere operativi i decreti appena pubblicati. Sicuramente tra gli effetti più importanti ci saranno quelli derivanti dall’entrata in vigore del Registro Unico nazionale del Terzo Settore, uno strumento che riteniamo estremamente utile per migliorare la trasparenza del nostro mondo attraverso l’armonizzazione delle modalità di iscrizione degli enti su tutto il territorio nazionale. Prima dell’effettiva entrata in vigore del Registro, però, trascorrerà circa un anno e mezzo, arco di tempo che comprende sia il periodo necessario al Governo per adottare i decreti ministeriali, sia quello per il recepimento delle norme da parte delle Regioni.

Una delle sfide più difficili a suo tempo enunciate dal Governo era quella di ottenere al tempo stesso un alleggerimento dei carichi burocratici e un aumento della capacità di controllo per “separare il grano dal loglio”, discernere insomma il buon terzo settore. L’assetto che esce dai decreti attuativi riesce a affrontare in modo soddisfacente questa doppia sfida? In cosa sì e in cosa no?

Le modalità individuate per garantire la trasparenza e il controllo degli enti di Terzo settore, dal nostro punto di vista, sono molto positive. L’adeguamento degli enti –  in particolare di quelli più piccoli – alle nuove disposizioni potrà rivelarsi oneroso, è quindi importante valutare l’impatto delle previsioni in fase applicativa per poter apportare nei correttivi le modifiche del caso. Strumenti come il bilancio sociale e la funzione di monitoraggio attribuita alle reti associative più strutturate, vanno incontro non solo all’esigenza di identificare e premiare il “buon Terzo settore”, ma anche di favorire la promozione dei comportamenti etici e responsabili. Questo per noi è fondamentale, anche perché abbiamo già sperimentato gli effetti distruttivi dei meccanismi della cosiddetta macchina del fango (penso ad esempio ai recenti attacchi, mediatici e politici, alle ong) e riteniamo giusto “fare la nostra parte” per impedire che si sviluppino anche in futuro vere e proprie campagne di falsa informazione. Certo, in alcuni casi si sarebbe potuto trovare un equilibrio migliore tra i bisogni di trasparenza e quelli di semplificazione: l’intrusione nelle regole della vita associativa degli enti, in alcuni casi, è notevole. Si prenda come esempio l’Organo di controllo: il Codice lo impone se gli enti superano alcuni limiti dimensionali che sono fino a 40 volte più stringenti di quelli previsti per le Srl. Inoltre l’obbligo, per le organizzazioni di Terzo settore, di pubblicare sul proprio sito i compensi corrisposti non solo ai dirigenti o agli organi di amministrazione, ma anche agli associati, apre scenari di violazione della privacy, complessità gestionali di una mole significativa di informazioni per un contributo in termini di maggior trasparenza tutto da verificare.

Sul decreto impresa sociale si sono addensate molte perplessità all’atto dell’approvazione preliminare in Consiglio dei ministri. Qual è la sua valutazione sulla versione definitiva, in particolare sul tema dell’elenco delle attività?

Su questo aspetto la preoccupazione principale è stata l’asimmetria, comparsa solo in seguito alla bozza iniziale di decreto, tra le cooperative sociali e le imprese sociali per quanto riguarda gli ambiti di attività, che penalizzavano le prime in modo evidente. A partire da quel testo sono stati realizzati passi in avanti importanti, perché adesso, oltre agli ambiti della sanità e della formazione, le coop sociali potranno svolgere anche altre attività, oltre a quelle svolte sino ad ora Complessivamente, il ruolo storico della cooperazione sociale è stato recuperato e il decreto disegna la via italiana all’impresa sociale, che entra a pieno titolo nel perimetro del Terzo settore. Da ora in poi, infatti, chi vorrà impegnarsi stabilmente in attività di interesse generale attraverso gli strumenti dell’economia non solo potrà farlo ma sarà anche incoraggiato a farlo, perché il decreto sull’impresa sociale prevede anche misure collegate di accesso al credito agevolato e la defiscalizzazione del capitale investito.

Accanto al tema dell’impresa sociale vi sono state molte altre perplessità evidenziate dal forum o da componenti del terzo settore, ad esempio dalle associazioni sportive. Possiamo ricostruire insieme i temi più rilevanti del dibattito e dare una valutazione dei testi definitivi?

La questione delle associazioni sportive dilettantistiche riguarda una fetta molto importante del Terzo settore (si tratta di oltre 100.000 enti non profit, un terzo dei circa 300.000 censiti dall’Istat) ed è quindi comprensibile che si sia generato un ampio dibattito sul loro futuro. In particolare gli enti di promozione sportiva hanno contestato, in un documento unitario, un articolo del decreto sul Codice del Terzo settore, dalla cui interpretazione letterale si evince il forte rischio, per questi enti, di essere tagliati fuori dal perimetro delle associazioni di promozione sociale e di non poter essere considerati enti di Terzo settore.  Questo naturalmente significherebbe una grave perdita per il nostro mondo e per la progettazione sociale in generale, che negli anni ha visto le associazioni sportive dilettantistiche protagoniste negli ambiti della promozione della salute, dell’inclusione sociale, della rigenerazione delle periferie, dell’educazione ecc… Dal punto di vista fiscale, poi, la legge 398 del 1991 che disciplina le ASD prevede dei trattamenti migliori di quelli del Codice, per cui, probabilmente, si assisterà all’esclusione, piuttosto che all’inclusione, di tali realtà all’interno del Terzo settore. I lavori su questo fronte sono ancora in corso, e ci auguriamo che ci sia sufficiente spazio di manovra.

Infine, una valutazione sul tema fiscale; la situazione preesistente vedeva sicuramente una normativa molto frazionata e complessa; cosa si può dire di ciò che esce dai decreti? Le misure di sostegno sono adeguate ed incisive? Si è riusciti a costruire, ove utile, un quadro unitario che superi difformità di trattamento tra le diverse famiglie del terzo settore? Vi sono elementi di criticità da segnalare o sul merito o su parti del testo che rischiano di apparire poco chiare?

La normativa fiscale è molto complessa: da un lato predispone la scomparsa delle Onlus, dall’altra attua una ridefinizione di “ente non commerciale”, che dovrebbe superare tutte le precedenti categorie. Di sicuro questi aspetti richiedono ancora un approfondimento per comprendere tutte le implicazioni e le conseguenze sul Terzo settore.

 

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