Giovedì 20 marzo festeggiamo insieme l’approvazione unanime al Senato della prima mozione sul Commercio Equo e Solidale
17 Marzo 2003Il Forum Permanente del Terzo Settore invita all’incontro
“Il riconoscimento giuridico del Commercio Equo e Solidale in Italia” Festeggiamo insieme l’approvazione unanime al Senato della prima mozione sul Commercio Equo e Solidale
Giovedì 20 marzo ore 12.00 – 14.00
Centro Culturale Orobico, Sala Manzù
Via di Pietra 70 – Roma
Saranno presenti:
Sen. Nuccio Iovene, primo firmatario della mozione Edoardo Patriarca, Portavoce Forum Permanente del Terzo Settore Senatori firmatari.
L’incontro ha lo scopo di illustrare i contenuti della prima mozione sul Commercio Equo e Solidale presentata e approvata all’unanimità dal Senato il 6 febbraio scorso.
Vuole inoltre invitare la Camera dei Deputati ad un’analoga presa di posizione.
Questa azione parlamentare, appoggiata dalle diverse forze politiche, costituisce il primo passo per un riconoscimento giuridico del Commercio Equo e Solidale come strumento privilegiato di lotta alla povertà e di cooperazione allo sviluppo.
segue buffet con i prodotti del Commercio Equo e Solidale
LA MOZIONE:
Mozione sul commercio equo e solidale
Approvata con modificazioni
IOVENE, ANGIUS, BOCO, BORDON, CREMA, MALABARBA, MARINO, ACCIARINI, Baio Dossi, BARATELLA, BASSANINI, BASSO, BASTIANONI, BATTAGLIA Giovanni, BATTAFARANO, BATTISTI, BEDIN, Bettoni Brandani, BONAVITA, BONFIETTI, BRUTTI Paolo, CHIUSOLI, CORTIANA, D’ANDREA, DE PAOLI, DE PETRIS, DE ZULUETA, DI GIROLAMO, DONATI, FILIPPELLI, FORCIERI, FORLANI, GAGLIONE, GASBARRI, GIARETTA, GIOVANELLI, LIGUORI, LONGHI, MACONI, MAINARDI, MARTONE, MICHELINI, MONTALBANO, MONTICONE, MONTINO, MURINEDDU, NOVI, PAGLIARULO, PASQUINI, PETERLINI, PIATTI, PIZZINATO, RIGONI, RIPAMONTI, ROTONDO, SCALERA, SODANO Tommaso, SOLIANI, TOGNI, TOIA, TONINI, VERALDI, VICINI, VITALI, VIVIANI, ZANCAN, GUBERT, D’IPPOLITO.
– Il Senato,
constatato:
che il prezzo del caffè grezzo negli ultimi cinque anni è crollato dell’80% passando dai 550 dollari al quintale del 1997 agli attuali 100 dollari, con costi di produzione superiori al costo di vendita;
che stessa sorte ha avuto il prezzo del cacao, il quale, dopo circa 15 anni nei quali il cacao grezzo ha aumentato il suo valore, nel 2000 ha toccato il suo record negativo ventennale e che tale tendenza continua creando notevoli problemi ai Paesi, ai produttori e alle centinaia di migliaia di persone che con la coltivazione della pianta del cacao vivono in molte parti del mondo;
che il caffè è la terza merce scambiata nel mondo dopo petrolio e acciaio, con una sua organizzazione, l’Organizzazione internazionale del caffè (OIC), ed una Borsa internazionale;
che questo crollo è dovuto ad un forte aumento della produzione, con l’aggiunta di un nuovo paese produttore (il Vietnam), e ad un consumo solo in lievissima crescita;
che oggi il 40% del mercato mondiale del caffè è nelle mani di quattro grandi multinazionali: la Procter Gamble, la Philip Morris, la Kraft e la Nestlè;
che questa grande concentrazione, secondo i dati della Banca Mondiale, è una delle cause che ha fatto scendere il costo del chicco grezzo dell’80% lasciando nelle mani dei coltivatori solo il 7% del prezzo finale di un etto di caffè lavorato;
che la coltivazione del caffè è una risorsa fondamentale per numerosi paesi, dall’America Latina al Sud-Est asiatico, che occupa oltre 50 milioni di lavoratori e milioni di imprese agricole prevalentemente di piccole e medie dimensioni;
che il totale della produzione mondiale, dati del 2001, è stato di 110 milioni di sacchi, 60 chili l’uno, con un consumo totale di 102 milioni di sacchi;
che a seguito di questa crisi le organizzazioni umanitarie prevedono che, solo nel Centroamerica, circa un milione e mezzo saranno le persone alla fame;
considerato:
che la coltivazione del caffè ha una dimensione umana che riguarda milioni di persone di paesi impoveriti o in via di sviluppo, dal Kenia al Costa Rica, dal Vietnam al Brasile, rappresentando molto spesso l’unica risorsa di guadagno e di sopravvivenza;
che negli ultimi anni il commercio equo e solidale si è rivelato uno dei modi più efficaci per promuovere lo sviluppo;
che la Carta europea dei criteri del commercio equo e solidale recita: «Il commercio equo e solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente, attraverso il commercio, l’educazione e l’azione politica. Il suo scopo è riequilibrare i rapporti con i Paesi economicamente meno sviluppati, migliorando l’accesso al mercato e le condizioni di vita dei produttori svantaggiati, attraverso una più equa distribuzione dei guadagni. Il commercio equo e solidale è una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: produttori, lavoratori, Botteghe del Mondo, importatori e consumatori.
Il commercio equo e solidale:
promuove migliori condizioni di vita nei Paesi economicamente meno sviluppati rimuovendo gli svantaggi sofferti dai produttori per facilitarne l’accesso al mercato;
tramite la vendita di prodotti, divulga informazioni sui meccanismi economici di sfruttamento, favorendo e stimolando nei consumatori la crescita di un atteggiamento alternativo al modello economico dominante e la ricerca di nuovi modelli di sviluppo;
organizza rapporti commerciali e di lavoro senza fini di lucro e nel rispetto e valorizzazione delle persone;
promuove i diritti umani, in particolare dei gruppi e delle categorie svantaggiate;
mira alla creazione di opportunità di lavoro a condizioni giuste tanto nei Paesi economicamente svantaggiati come in quelli economicamente sviluppati; favorisce l’incontro fra consumatori critici e produttori dei Paesi economicamente meno sviluppati;
sostiene l’autosviluppo economico e sociale;
stimola le istituzioni nazionali ed internazionali a compiere scelte economiche e commerciali a difesa dei piccoli produttori, della stabilità economica e della tutela ambientale;
promuove un uso equo e sostenibile delle risorse ambientali»;
che nella Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale, sottoscritta dalla maggior parte delle Botteghe del Mondo e degli importatori del commercio equo italiani, sono accolti questi stessi principi;
che l’esperienza del commercio equo e solidale si è rivelata un importante strumento per favorire lo sviluppo dell’uomo e per promuovere regole internazionali in materia economica e commerciale ispirate a maggiore giustizia ed equità tra Nord e Sud del mondo;
che il principale obiettivo del commercio equo e solidale, a breve termine, è fornire maggiori opportunità ai piccoli produttori e ai lavoratori dei paesi in via di sviluppo e, in tal modo, apportare un contributo alla promozione di un sviluppo sociale ed economico durevole per le loro popolazioni;
che, a più lungo termine, il commercio equo e solidale mira a orientare il sistema commerciale internazionale in un senso più equo, istituendo un esempio ed esercitando pressioni su governi, organizzazioni internazionali e imprese affinché ne riconoscano e adottino le componenti principali;
che il commercio equo e solidale opera in senso positivo sulla sensibilizzazione globale in merito alle relazioni Nord-Sud, soprattutto attraverso il rafforzamento della cooperazione da cittadino a cittadino;
che il commercio equo e solidale garantisce ai produttori un rapporto continuativo ed un «prezzo equo», cioè che copra i costi di produzione, di esportazione, di importazione e di distribuzione ed anche le necessità primarie del produttore. Il «prezzo equo» in alcuni casi è determinato sulla base degli standard internazionalmente riconosciuti, come ad esempio il prezzo equo minimo per il caffè, che si basa su quei 120 dollari per 100 libre fissati come prezzo minimo negli Accordi Internazionali del caffè; in altri le organizzazioni del commercio equo e i produttori stabiliscono di comune accordo il «prezzo equo», sulla base del costo delle materie prime, del costo del lavoro locale, della retribuzione dignitosa e regolare. Il «prezzo equo» viene mantenuto anche nei casi in cui crolli il prezzo, garantendo comunque, grazie all’eliminazione di tutte quelle intermediazioni speculative dalla filiera produttiva e distributiva, al produttore un sicuro guadagno;
che in Europa sono nati diversi marchi di garanzia nazionali per la necessità di inserire i prodotti equi e solidali anche in canali distributivi tradizionali nazionali: il primo di essi, Max Havelaar, è stato fondato nel 1986 in Belgio per poi diffondersi in Francia, Svizzera, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia; di seguito sono nati TransFair International in Germania, Austria, Lussemburgo, Giappone, Stati Uniti, Canada e Italia; in Inghilterra il marchio di garanzia porta il nome di Fair Trade Foundation e in Irlanda di Irish Fair Trade Network;
che le stesse organizzazioni di commercio equo europee che hanno dato vita a questi marchi sono socie di IFAT (International Federation for Alternative Trade), l’unica associazione che raggruppa a livello mondiale produttori e importatori del commercio equo;
che tale associazione sta sviluppando un piano di certificazione dei propri soci che permette di garantire l’aderenza ai criteri del commercio equo; che tale forma di garanzia si estende a tutta la filiera del commercio equo (dal produttore alla Bottega del Mondo), affiancandosi quindi alla certificazione dei singoli prodotti offerti dai marchi;
che nella stessa ottica di garantire l’intero processo del commercio equo si colloca la Carta Italiana dei Creditori del Commercio Equo e Solidale; che in Italia, dopo la nascita del marchio di garanzia TransFair, gestito dall’Associazione TransFair Italia, associazione senza scopo di lucro costituita da organizzazioni che operano nel campo della solidarietà, della cooperazione internazionale, dell’educazione allo sviluppo e aderente a FLO (Fair Trade Label Organization), nel 1994, per i prodotti del commercio equo e solidale, prima presenti in Italia solo nelle Botteghe del Mondo (circa 200 punti vendita nel 1995) e in alcuni canali di piccolo dettaglio, è iniziata la diffusione in mercati più ampi ed in particolare in alcune catene della grande distribuzione organizzata;
che, secondo i dati provenienti da varie agenzie di ricerca, i prodotti equi e solidali sono disponibili in circa il 35% della distribuzione italiana; che dai dati relativi all’anno 2000, tratti da «Fair Trade in Europe 2001», risulta che in Italia le Botteghe del Mondo – organizzazioni non profit che vendono prodotti equi e solidali – sono 374, in Europa 2.740 in 18 Paesi, i supermarket che vendono prodotti del commercio equo e solidale sono 2.620 in Italia, 43.100 in 18 Paesi europei, gli importatori sono 7 con l’esclusione delle Botteghe che importano direttamente in Italia, 97 in 18 Paesi europei, i volontari sono 1.500 in Italia, 96.000 in 18 Paesi europei, con un fatturato stimato superiore ai 16.100.000 euro in Italia, 369.000.000 euro in Europa; che il grande impegno dei volontari e la grande maggioranza del fatturato, in Italia, si realizzano in particolare nelle Botteghe del Mondo e nelle centrali di importazione che hanno sottoscritto la Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale;
che numerosi comuni italiani hanno emanato specifiche delibere per favorire l’uso di prodotti equi e garantiti nelle manifestazioni pubbliche;
che le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Veneto e Umbria hanno emanato apposite leggi regionali per la promozione e lo sviluppo del commercio equo e solidale;
rilevato:
che il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione l’8 ottobre 1991 sul sostegno attivo ai piccoli coltivatori di caffè del Terzo Mondo mediante una politica mirata di approvvigionamento e di introduzione di tale prodotto di provenienza del commercio equo e solidale nelle istituzioni comunitarie;
che il Parlamento Europeo, dopo un intenso lavoro dell’eurodeputato italiano Alex Langer, ha approvato una risoluzione sulla promozione del commercio equo e solidale fra Nord e Sud, la n. A3-0373/93 del 19 gennaio 1994;
che nel 1998 è stata approvata dal Parlamento Europeo la risoluzione n. 198/98 sul commercio equo e solidale nella quale, tra l’altro, si chiede alla Commissione Europea:
«1. di fare in modo che il sostegno al commercio equo e solidale diventi elemento integrante della politica estera di cooperazione allo sviluppo e commerciale dell’UE, compreso lo sviluppo di codici di condotta per le società multinazionali operanti nei paesi in via di sviluppo, e, in particolare, di garantire un adeguato coordinamento tra le direzioni e i servizi competenti nonché di istituire le necessarie strutture amministrative per metterlo in pratica;
2. che la promozione del commercio equo e solidale sia inserita come strumento di sviluppo nella conclusione di un nuovo accordo con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP)»;
che la comunicazione della Commissione Europea al Consiglio sul commercio equo e solidale del 1999 recita: «Va rilevato che, se il commercio equo e solidale può essere considerato come una forma di‘’commercio leale’’, di solito il termine viene utilizzato per designare pratiche commerciali non solo moralmente corrette, ma specificamente intese a rafforzare la posizione economica dei piccoli produttori che altrimenti rischiano di trovarsi marginalizzati dai flussi di scambio convenzionali. Si parla più propriamente di‘’commercio leale’’o di‘’pratiche commerciali moralmente corrette’’in riferimento alle attività delle società multinazionali operanti nei paesi in via di sviluppo (per esempio codici di condotta), intese a dimostrare le loro responsabilità etiche e sociali nei confronti dei dipendenti o dei soci»;
che la citata comunicazione della Commissione al Consiglio del 1999 ha definito, al punto 2, «Il concetto di commercio equo e solidale», che «la pratica del commercio equo e solidale favorisce particolarmente i piccoli produttori, soprattutto agricoltori e artigiani, i quali spesso vivono in regioni rurali periferiche e non producono in quantità sufficiente per esportare direttamente, cosicché dipendono da intermediari sia per la vendita dei prodotti che per l’assunzione di credito. Alcuni di essi hanno cercato di ridurre tale dipendenza associandosi in cooperative e mettendo in comune risorse, attrezzature e competenze tecniche e talvolta anche servizi collettivi come la sanità e l’istruzione. Le organizzazioni commerciali alternative – di cui si farà menzione più avanti – possono dare una spinta decisiva allo sviluppo di queste cooperative, con il pagamento di un prezzo equo e con la prestazione di assistenza di vario tipo, dall’acquisto di un fax alla consulenza in materia di esportazioni. Tra le iniziative di questo genere possono rientrare il pagamento di anticipi ai produttori e l’instaurazione di rapporti contrattuali che offrano a questi ultimi una sicurezza a lungo termine. In questo modo viene garantita la stabilità dei redditi, il che facilita la pianificazione e l’investimento, e i produttori possono esercitare un maggiore controllo sulla trasformazione e commercializzazione dei loro prodotti. Una parte del reddito può essere persino utilizzata per accrescere la capacità, per esempio in vista della costituzione di organizzazioni di produttori – come si è osservato in precedenza – o per l’allestimento di strutture che permettano di aggiungere valore, come la trasformazione del caffè. Va sottolineato che i profitti ricavati dal commercio equo e solidale vanno a beneficio di un’intera comunità e non di singoli individui. Il concetto di commercio equo e solidale si applica principalmente agli scambi tra paesi in via di sviluppo e paesi economicamente avanzati. Esso non incide direttamente sui beni prodotti all’interno dell’UE, dove le norme sociali ed ambientali sono già sancite dalla legge.
Le azioni in materia di commercio equo e solidale sorgono per iniziativa di organizzazioni non governative private. Esse si basano su un sistema di incentivi, nel senso che poggiano sulla scelta dei consumatori e non cercano di manovrare il commercio o di erigere barriere per impedire l’accesso al mercato di taluni paesi. Il consumatore ha così la possibilità di elevare il tenore di vita dei produttori nei paesi in via di sviluppo grazie ad un approccio sostenibile ed orientato verso il mercato»;
che la Commissione Europea, nella comunicazione n. 366 del 2002, «Promoting a European framework for Corporate Social Responsibility», nel paragrafo 3.4, «Social and eco-labels», e nella comunicazione n. 416 del 2002, «Promoting Core Labour Standards and Improving Social Governance in the Context of Globalization», paragrafo 5.3, «Private and voluntary schemes for the promotion of core labour standards: Social labelling and industry codes of conduct», sostiene la necessità di sistemi chiari di certificazione sociale e definisce tuttavia l’esperienza dei marchi di garanzia di commercio equo e solidale come una delle esperienze più avanzate di certificazione sociale;
che i prodotti attualmente venduti nell’Unione Europea attraverso le varie iniziative di commercio equo e solidale sono principalmente caffè, manufatti artigianali, tè, cioccolato, frutta secca, miele, zucchero, banane, ecc., tra i quali recano attualmente il marchio di garanzia di commercio equo e solidale caffè, cacao, banane, zucchero, miele, tè, succhi, riso, fiori e palloni. Secondo le stime il fatturato nell’Unione Europea si aggirava intorno a 175 milioni di euro nel 1994 e tra i 200 e i 250 milioni di euro nel 1997; di questo fatturato globale, il 60% circa è costituito da prodotti alimentari, di cui il caffè rappresenta a sua volta la metà. Tuttavia il caffè equo e solidale rappresenta appena il 2% di tutto il caffè commercializzato nell’Unione Europea;
che, nell’insieme, l’11% della popolazione dell’Unione Europea ha già acquistato prodotti equi e solidali, con ampie variazioni da un paese all’altro, che vanno dal 3% in Portogallo e Grecia al 49% dei Paesi Bassi;
che la libera imprenditoria, produzione e vendita del caffè è minacciata dalla concentrazione in poche mani del controllo del mercato mondiale, che delocalizza la grande produzione verso aree nuove a più basso costo salariale e sociale (come nel caso del Vietnam), determinando bassissimi costi alla produzione a cui, peraltro, non corrispondono poi investimenti di sviluppo o diminuzioni di prezzo al dettaglio. È un sistema di globalizzazione selvaggio che, di fatto, nega qualsiasi libertà di mercato e di concorrenza leale, depredando il territorio e sfruttando le manodopere locali con forme di lavoro e di remunerazione spesso simili alla schiavitù, impegna il Governo:
a favorire la diffusione del commercio equo e solidale, come possibile strumento aggiuntivo di sviluppo;
a riconoscere l’importanza dei prodotti del commercio equo e solidale garantiti secondo gli standard delle organizzazioni esterne di certificazione del Fair Trade, come le organizzazioni associate in Fairtrade Labelling Organizations, qualora detti standard vengano assimilati a quelli della tradizione giuridica comunitaria e, comunque, a quelli riconosciuti a livello internazionale;
a incoraggiare allo stesso modo i prodotti importati e commercializzati secondo i criteri stabiliti dalla Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale e immessi sul mercato italiano da importatori e Botteghe del Mondo che l’hanno sottoscritta;
a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle esperienze di commercio equo e solidale, quale strumento di lotta alla povertà (*);
a favorire la presenza nelle scuole di programmi di educazione allo sviluppo e alla solidarietà internazionale, contrasto alla povertà e lotta alla fame, per una maggiore conoscenza delle risorse naturali e per un loro uso consapevole.
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(*) I capoversi evidenziati sostituiscono i seguenti: «ad introdurre a pieno titolo il sostegno al commercio equo e solidale come elemento integrante della politica estera di cooperazione allo sviluppo e commerciale dell’Italia nei confronti dei paesi in via di sviluppo;
ad introdurre a pieno titolo il sostegno ai prodotti del commercio equo e solidale garantiti secondo gli standard delle organizzazioni esterne di certificazione del Fair Trade, come le organizzazioni associate in Fairtrade Labelling Organizations;
a sostenere allo stesso modo i prodotti importati e commercializzati secondo i criteri stabiliti dalla Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale e immessi sul mercato italiano da importatori e botteghe del mondo che l’hanno sottoscritta;
a mettere in atto misure di sostegno fiscale in favore delle organizzazioni di commercio equo e solidale al fine di far crescere anche in Italia questa importante esperienza;
a promuovere attraverso apposite campagne informative televisive, radiofoniche e sulla carta stampata le esperienze di commercio equo e solidale come strumento di lotta alla povertà al fine di sensibilizzare i cittadini italiani.