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WELFARE FAMILIARE: IL RUOLO DEI MIGRANTI

 

Fonte: vita.it

02/05/2013

Articolo di Antonietta Nembri

Indagine promossa da UniCredit Foundation e Agenzia Tu UniCredit sugli assistenti familiari stranieri: destinati a crescere, ma con una formazione professionale da incentivare. Ancora scarsa la conoscenza di diritti e doveri

Rappresentano la categoria più numerosa tra i lavoratori immigrati. Si tratta delle collaboratrici e dei collaboratori familiari e su di loro e sul loro contributo al welfare familiare è stata realizzata una ricerca, promossa da UniCredit Foundation e Agenzia Tu Unicredit.

In base agli ultimi dati Inps i lavoratori stranieri censiti che si occupano, in forme diverse, di assistenza familiare sono oltre 750mila. Un numero di sicuro inferiore a quello effettivo, anche a caua della presenza di persone senza un contratto di lavoro regolare che svolgono attività di collaborazione domestica.

Obiettivo dell’indagine (in allegato un documento di sintesi) era quello di conoscere questi immigrati, che cosa fanno, come vengono trattati, come considerano gli italiani e quali rapporti hanno con i Paesi d’origine. La ricerca, ideata e coordinata da UniCredit Foundation è stata condotta da Franco Pittau e Renato Marinaro, che si sono avvalsi del team dei ricercatori del Centro Studi e Ricerche Idos, potenziato in questa occasione da Nadia Vacaru, dell’Università Cuza di Iasi in Romania.

Alcuni dati
La maggioranza degli assistenti famigliari risiede nelle regioni del Nord e del Centro Italia
 è qui si è svolta la ricerca. 606 le persone intervistate e individuate tra quanti hanno rapporti in corso con le banche e in particolare con l’Agenzia Tu Unicredit (rete di filiali UniCredit dedicata ai cittadini stranieri residenti in Italia)
«Il costante invecchiamento della nostra società implica un inevitabile aumento del numero di persone anziane da accudire. La constatazione che le professioni che ruotano attorno all’assistenza familiare vengono svolte in misura così rilevante da cittadini stranieri conduce a considerare l’apporto degli immigrati che lavorano in tale ambito come un tassello fondamentale del nostro impianto sociale e della sua coesione» osserva Roberto Nicastro, Dg di UniCredit. «La rete di filiali Agenzia Tu UniCredit sono la dimostrazione del nostro impegno affinché l’integrazione non rimanga un intento, ma si trasformi da concetto astratto in realtà concreta».

Per quanto riguarda i Paesi di provenienza delle 606 persone che hanno compilato il questionario in ordine di importanza numerica si tratta di: Romania, Ucraina, Moldova, Filippine, Ecuador, Sri Lanka, Perù, e a seguire Georgia, Polonia, Bulgaria, Albania, Argentina, Bangladesh, Brasile, Egitto, Haiti, India, Lettonia, Lituania, Marocco, Messico, Panama, Repubblica Dominicana e Venezuela.
Il questionario chiedeva, oltre ai dati anagrafici, di rispondere a domande sullo stato familiare, sul grado di istruzione, sul tempo di permanenza in Italia, sul tipo di contratto e sul tempo di lavoro, sulle prestazioni effettuate e la tipologia delle persone assistite, sul grado di soddisfazione nel rapporto con gli assistiti, sulle capacità di risparmio e sulla sua destinazione
La tipologia delle persone da assistere vede in prima posizione glianziani (53,1%; in più della metà dei casi si tratta di un anziano solo). Inoltre in un terzo dei casi (36,5%) l’assistenza viene prestata alle famiglie, dove quasi sempre vi sono dei figli e, in un terzo dei casi, degli anziani a carico.
La grande maggioranza degli intervistati lavora tra le 20 e le 40 ore a settimana (55,6%), una quota consistente (26,2%) lavora tra le 41 e le 60 ore e addirittura non mancano i casi di oltre 60 ore di lavoro (4,0%), come vi è anche chi lavora meno di 20 ore (6,4%).
Le mansioni affidate riguardano principalmente la cura delle persone (per il 66,5% degli intervistati) e la cura della casa (per il 63,2%), ma non è di poco conto il lavoro svolto in cucina (33,3%), mentre è meno ricorrente il compito di fare la spesa (7,1%).

Il livello di istruzione degli intervistati risulta mediamente elevato, con il 26,7% che ha conseguito il diploma e il 18,0% che ha frequentato l’università. Meno soddisfacente è laformazione specifica ricevuta per la cura delle persone (73,3% risposte negative e 24,7% risposte positive), un tema che inizia ad essere seriamente dibattuto da esponenti sia del Terzo settore, sia delle istituzioni.
Va segnalato che solo una quota minoritaria sente la necessità di una formazione specifica (36,0%, contro il 59,4% di risposte negative). «L’assenza di formazione specifica e la carenza di precise qualifiche professionali, pur a fronte di un livello di istruzione piuttosto alto, di chi per lavoro si dedica alla cura della persona e della casa rappresentano un punto critico, nell’interesse sia del lavoratore, sia della famiglia-datore di lavoro, ma anche dello Stato, delle Regioni e, soprattutto, dei Comuni», sottolinea Franco Pittau. «Una migliore qualità del “welfare familiare” migliora la qualità della vita delle comunità, ma può anche aiutare a contenere i costi pubblici sia per le cure, sia per l’assistenza, in particolare delle persone anziane».
È stato, infatti, ipotizzato che, se non ci fossero le badanti, lo Stato dovrebbe investire 45 miliardi per assicurare un servizio analogo (Romina Spina, “Le immigrate invisibili che tengono insieme l’Italia”, traduzione dall’originale “Wie unsichtbare Migrantinnen italian zusammenhalten” nel Neue Zürcher Zeitung del 29.12.2009).
L’organizzazione “Badandum” del Pio Albergo Trivulzio di Milano ha stimato che nel 2010 le badanti siano costate alle famiglie 9 miliardi di euro (appena un miliardo in meno della spesa sostenuta dallo Stato per l’indennità di accompagnamento), consentendo così un notevole risparmio alle strutture pubbliche, e il Rapporto Inrca (Istituto Nazionale Ricovero e Cura Anziani) concorda con questa stima, pari allo 0,59% del Pil.

In tema di diritti e doveri si segnala, inoltre, che il 33,6% non fruisce pienamente dei giorni di riposo settimanali previsti dal contratto collettivo nazionale, il 56,5% non presenta la dichiarazione dei redditi (benché obbligatoria per i redditi da lavoro dipendente superiori a 8.000 euro). Il 61% trova lavoro attraverso il passaparola tra connazionali.

Tra i dati dell’indagine si segnala la capacità di risparmio degli intervistati, in grado di accantonare anche fino a 250 euro al mese; il denaro guadagnato viene poi in parte spedito, nella maggioranza dei casi, ai familiari nei Paesi d’origine (il 33,6% attraverso canali informali con il rischio del mancato recapito). Anche perché tra gli intervistati, di tutte le età, prevale il desiderio di rimpatriare (complessivamente il 78,0%, fino ad arrivare all’85,0% tra gli ultracinquantenni). Un’aspettativa peraltro confermata dalla bassa propensione per l’acquisto di una casa, tranne che per la fascia di intervistati con un’età compresa tra i 20 e 30 anni.

Ultimo elemento da evidenziare è che il 62,4% riceve la retribuzione in contanti dove, in presenza di redditi mensili netti superiori ai 1.000 euro, è da osservare che la famiglia viola la normativa che vieta il trasferimento di contante tra privati sopra tale soglia, incorrendo nel potenziale rischio di una sanzione pecuniaria di almeno 3.000 euro.

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