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L’equilibrio tra privacy e pubblicità per i compensi al Terzo settore

Il Ministero si esprime sull’obbligo di diffonderli insieme a emolumenti o corrispettivi a titolari di cariche sociali, dirigenti ed associati. Indicazioni più precise su quando è sufficiente il dato aggregato e quando è necessario quello nominativo 

Articolo di Cantiere Terzo Settore

Tra gli obblighi di trasparenza per gli enti del Terzo settore con ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate superiori a centomila euro annui c’è quello di pubblicare e tenere aggiornati sul proprio sito internet o su quello della propria rete associativa “emolumenti, compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati” (art. 14 comma 2 del codice del Terzo settore).

Ma come tutelare il necessario impegno alla pubblicità con il diritto alla riservatezza e alla privacy di alcuni dati?

Su questo si è espresso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali con la nota n. 293 del 12 gennaio 2021 che risponde a due quesiti sulla pubblicazione di emolumenti e compensi:

  • se debbono essere pubblicati individualmente e/o nominalmente per ciascuno dei soggetti richiamati dalla norma o, in alternativa, si possono pubblicare come dato aggregato, distinto per categoria soggettiva (organi di amministrazione e controllo nel caso in cui percepiscano un compenso; dirigenti; associati);
  • se sono disponibili eventuali “modelli o standard in tal senso”.

Ecco le risposte del Ministero.

Pubblicazione nominativa e aggregata, ecco i casi possibili

Nella nota viene ricordato che già le linee guida sul bilancio sociale si era occupate della questione, chiarendo che “le informazioni sui compensi di cui all’art. 14, comma 2 … costituiscono oggetto di pubblicazione, anche in forma anonima, sul sito internet dell’ente o della rete associativa cui l’ente aderisce”.

Non sarà necessaria una pubblicazione nominativa ogniqualvolta sarà possibile pubblicare un’informazione valida per tutti i soggetti appartenenti ad una determinata categoria (ad esempio specificando il trattamento previsto tanto per i componenti dell’organo di controllo quanto la maggiorazione spettante al presidente dello stesso; oppure individuando tra i dirigenti una o più categorie retributive e specificando il trattamento lordo associato a ciascuna di esse).

Si ritiene invece del tutto insufficiente (in quanto non caratterizzata da livelli di trasparenza in linea con le previsioni di legge) la pubblicazione di un dato aggregato nel caso in cui all’interno di esso potrebbero rinvenirsi posizioni differenziate che non verrebbero messe a fuoco da quanti fossero interessati all’informazione. Ad esempio, si potrà fornire una indicazione del tipo “ai componenti dell’organo di controllo (ma può valere anche per i dirigenti o i quadri) vengono riconosciuti emolumenti lordi compresi tra un minimo di xxx euro ed un massimo di yyy euro” mentre si ritiene insufficiente fornire il solo importo aggregato di spesa.

Dovranno essere tenuti distinti anche gli importi dovuti a titolo di “retribuzione” da quelli corrisposti a titolo di “indennità particolare” – ad esempio parametrata ai giorni in cui un determinato organo si riunisce – o di “rimborso speseIn questo ultimo caso, trattandosi di somme attribuite a fronte di spese documentate potrà essere sufficiente individuare il numero di beneficiari, l’importo medio, l’importo massimo e quello minimo riconosciuti).

Considerando le diverse variabili che potrebbero condizionare la struttura della pubblicazione, il Ministero ha scelto di non fornire “format” o modelli, che potrebbero essere eventualmente adottati dall’organo di controllo dell’ente.

Le motivazioni

Come spesso accade nelle note ministeriali di interpretazione della normativa sul Terzo settore, le risposte sono accompagnate da una serie di riflessioni e valutazioni da parte del legislatore sul tema.

Il vincolo alla trasparenza declinato nell’art. 14 del codice, sia nel comma 1 con gli obblighi di pubblicazione previsti per il bilancio sociale, che nel comma 2 per emolumenti, compensi o corrispettivi a titolari di cariche sociali, dirigenti ed associati, deriva dalla stessa legge delega 106 del 2016 che considera la pubblicità una formula per garantire l’assenza degli scopri lucrativi per gli enti del Terzo settore (art. 4, comma 1, lettera l).

Vincoli, quindi, necessari soprattutto nei confronti degli associati, dei lavoratori e dei terzi, ma che per essere equi devono essere applicati con gradazione in base alla dimensione economica delle attività che si svolgono. L’intento è quello di non gravare gli enti di piccole dimensioni di ulteriori sproporzionati rispetto alla loro azione.

Entrando nel merito, la motivazione reale è quella di monitorare la finalità dell’azione di un ente del Terzo settore (Ets), e quindi la destinazione esclusiva delle risorse a disposizione per il perseguimento degli scopi statutari e l’assenza di scopo di lucro, e quindi il “divieto di distribuzione sia diretta che indiretta di utili ed avanzi di gestione, fondi e riserve, comunque denominati, a fondatori, associati, lavoratori e collaboratori, amministratori ed altri componenti degli organi sociali, anche nel caso di recesso o di ogni altra ipotesi di scioglimento individuale del rapporto associativo”.

Rendere pubblici questi dati, accresce così il livello di conoscibilità delle informazioni sull’ente del Terzo settore, aggiungendosi al ruolo svolto dal registro unico nazionale. Il tutto per consentire ai cittadini di operare scelte sempre più consapevoli nei confronti dell’Ets (basti pensare alla destinazione del 5 per mille) ed effettuare un controllo diffuso sulla loro azione.

L’equilibrio tra riservatezza e trasparenza

Il criterio proposto dal legislatore, quindi, è quello della proporzionalità della misura, che deve essere necessaria e idonea all’obiettivo prefissato, e devono essere ragionevoli e pertinenti. Per questo motivo, è stato posto un limite all’interesse dei singoli, per cui non è consentito rendere noti elementi informativi non necessari ad assicurare il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla norma. Allo stesso tempo, non è necessario pubblicare elementi che possano anche indirettamente rendere conoscibili situazioni particolari del singolo percettore di tali emolumenti (come nel caso in cui la comunicazione sia realizzata non in ragione dell’attività svolta ma di situazioni proprie del singolo e tali da fornire indebitamente informazioni sulla sua specifica condizione, ad esempio di natura sanitaria); o informazioni di natura patrimoniale a ben vedere riconducibili alla situazione dell’individuo ma non collegate alle attività svolte, agli incarichi ricoperti o più in generale all’appartenenza all’ente del Terzo settore.

In questo quadro si inserisce anche il bilancio sociale, strumento che permette di conoscere più a fondo la struttura e il funzionamento dell’ente. Non a caso, le linee guida ministeriali per la sua redazione, indicano che anche qui debbano essere pubblicati “la struttura dei compensi, delle retribuzioni, delle indennità di carica e modalità e importi dei rimborsi ai volontari: emolumenti, compensi o corrispettivi a qualsiasi titolo attribuiti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti nonché agli associati; rapporto tra retribuzione annua lorda massima e minima dei lavoratori dipendenti dell’ente; in caso di utilizzo della possibilità di effettuare rimborsi ai volontari a fronte di autocertificazione, modalità di regolamentazione, importo dei rimborsi complessivi annuali e numero di volontari che ne hanno usufruito”.

 

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