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Dopo Parigi: come riformulare il piano per la gestione dei flussi migratori

AOI e CONCORD Italia (in rappresentanza di oltre 100 organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale) con un documento congiunto, analizzano la dichiarazione finale del recente incontro tra i capi di Stato e di Governo di Germania, Spagna, Francia e Italia e di Niger, Ciad e Libia organizzato la scorsa settimana a Parigi, evidenziando alcune criticità e formulando alcune proposte e raccomandazioni.

Secondo le organizzazioni firmatarie del documento, quello definito a Parigi è un vero e proprio piano per la gestione dei flussi migratori che però, oltre ad alcuni aspetti positivi, laddove si sottolinea l’impegno per la protezione e i diritti umani e per un sistema europeo d’asilo, desta molte perplessità e critiche.

Innanzitutto tutti gli strumenti citati nel documento (diplomazia, cooperazione e sicurezza) sono mirati principalmente al controllo e alla gestione dei flussi, cioè in funzione di un solo obiettivo da raggiungere nel più breve tempo possibile: fermare le migrazioni. Al contrario, la strategia delineata a Parigi, lascia in secondo piano le cause profonde e le questioni dello sviluppo sostenibile, nonostante all’inizio della dichiarazione si enuncino i principi e le azioni per i Paesi di origine e dei processi di pace. In tutto il testo lo sviluppo sostenibile è richiamato genericamente quattro volte, e solo in relazione allo sviluppo delle comunità locali in modo da produrre fonti di reddito alternative al business del traffico di esseri umani.

In secondo luogo si sostiene il rafforzamento di governi africani nella gestione dei flussi e per la sicurezza delle frontiere, ma non la creazione e lo sviluppo del loro Stato di diritto: il rispetto dei diritti umani viene citato più volte, ma sempre in relazione strumentale alla sola gestione dei flussi.

Si tratta quindi sostanzialmente di un approccio prevalentemente repressivo (controllo e sicurezza) relativamente bilanciato, in modo ancora insufficiente, con misure umanitarie, previste solo per i soggetti più vulnerabili. Non è ancora chiaro quali siano le capacità, le strutture,  gli attori da coinvolgere, i fondi per garantire il rispetto dei diritti umani dei richiedenti asilo, l’accesso alla protezione internazionale e per evitare casi di respingimenti.

Infine appare tutta da costruire la politica nel caso dei centri di detenzione in Libia e la relazione con governi africani che non hanno mai firmato le convenzioni internazionali che regolano la protezione internazionale e l’asilo, il ritorno e i reinsediamenti. Tutto viene ridotto a una grossolana divisione tra migrazioni economiche e migrazioni dei richiedenti asilo, quando il problema africano, evidenziato da diversi studi, è che questa distinzione tiene sempre meno.

Le organizzazioni richiamano il Governo italiano e quelli europei a definire finalmente un concreto piano con l’Africa che porti a coerenza diverse questioni sulle quali non c’è ancora condivisione e che sono alla base dei flussi migratori: le guerre (il commercio delle armi), la crescente emergenza ambientale (gli impegni per il cambiamento climatico), la fughe dei capitali dall’Africa e l’evasione ed elusione delle tasse da parte delle multinazionali che riducono gli introiti per i poveri Stati africani in misura di almeno 50 miliardi di dollari l’anno (chiusura dei centri finanziari off-shore e trasparenza nella rendicontazione), la lotta alla speculazione finanziaria che provoca le “guerre del pane” (adozione della tassa sulle transazioni finanziare ad alta  frequenza), una politica commerciale che favorisca l’industrializzazione dei Paesi africani e quindi l’occupazione locale (revisione degli European African Partnership), un piano per gli investimenti in Africa che sostenga le comunità locali e non privilegi principalmente gli interessi delle grandi imprese europee.

Nello specifico è necessario che:

  • si formalizzi una road map, con risorse finanziare e tempi certi, che portino Libia, Ciad e Niger a raggiungere infrastrutture e standard che garantiscano l’adesione e il rispetto delle convenzioni e dei diritti umani
  •  si affidino i costi per la gestione delle migrazioni a fondi ad hoc, distinti da quelli per lo sviluppo e la protezione. Le risorse messe in campo per la cooperazione a livello europeo a partire dal Trust-fund Europa Africa, recentemente rifinanziato per 2.8 miliardi di euro debbono essere utilizzate per lo sviluppo umano, lo stato di diritto, i servizi essenziali (salute di base, istruzione, cibo e sicurezza alimentare)
  • le norme adottate per la sicurezza e il controllo alle frontiere non riducano la mobilità umana intra-africana (si dimentica che oltre il 60% dei flussi non viene in Europa, ma si sposta tra stati africani)
  • si sostengano risposte regionali e la creazione di veri poli di attrazione economica come ad esempio previsto dalle analisi e dagli studi della Banca Africana di Sviluppo con UNDP (Agenzia per lo sviluppo dell’ONU) e dal Centro per lo sviluppo dell’OCSE
  • si riformi e si superi definitivamente il sistema di Dublino che concentra il peso sui Paesi di “primo arrivo” come è accaduto in questi tre anni con Italia e Grecia. È evidente la necessità dell’introduzione di un meccanismo che permetta l’automatica redistribuzione dal Paese di primo arrivo in altri Stati membri, in situazione di emergenza e in caso di grandi flussi che ne mettono sotto stress sistema di accoglienza
  • contestualmente si concluda, dopo un processo che va avanti da tempo, l’adozione di un sistema unico di asilo europeo che faciliti regole certe e uguali di tutti i 27 Paesi membri, favorendo una reale condivisione delle responsabilità in un quadro europeo. Il sistema di asilo deve comprendere un piano di reinsediamento importante dai Paesi di transito in Europa, in questo modo si eviterebbe, in parte, di far crescere campi profughi in Africa, che producono tensioni con le comunità locali, instabilità e deprivazioni della dignità umana.

Le organizzazioni e le Ong firmatarie ribadiscono la loro disponibilità a un confronto costruttivo, per dare il loro contributo di esperienza e operativo e chiedono nuovamente al Governo e ai ministeri competenti (Ministero dell’Interno e Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) di convocare un Tavolo di coordinamento nazionale con tutti gli attori così come fu fatto con successo in altre occasioni, dalle guerre nei Balcani o nel caso di altre emergenze di carattere umanitario o nazionali.

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