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“Sanità pubblica: prima scelta, ma a caro prezzo”

I cittadini italiani vogliono curarsi nel servizio sanitario pubblico, ma fanno i conti con liste di attesa lunghe, costo elevato dei ticket e dei farmaci e con un’assistenza territoriale che, più del passato, registra carenze e disservizi.

A mostralo sono i dati del XX Rapporto PIT Salute di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, dal titolo “Sanità pubblica: prima scelta, ma a caro prezzo”, presentato il 12 dicembre a Roma e realizzato con il sostegno non condizionato di IPASVI, FNOMCeO e FOFI.

I cittadini non ce la fanno più ad aspettare e a metter mano al portafoglio per curarsi; anche le vie dell’intramoenia e del privato sono diventate insostenibili. Serve più Servizio Sanitario Pubblico, più accessibile, efficiente e tempestivo”. Queste le dichiarazioni di Tonino Aceti, Coordinatore nazionale Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva. “E dalla legge di bilancio arrivano pochi e deboli segnali: se da una parte si comincia a metter mano al superticket, anche a seguito di una nostra battaglia, seppur in maniera insufficiente, dall’altra sul finanziamento del SSN arrivano segnali pericolosi che fanno intravedere il rischio di un suo forte depotenziamento. E ancora, a fronte di dimissioni ospedaliere sempre più anticipate e problematiche, la rete dei servizi socio-sanitari territoriali non è in grado di dare risposte alle persone in condizioni di “fragilità”, come gli anziani soli, le persone non autosufficienti o con cronicità, quelle con sofferenza mentale. E’ anche per questo che le famiglie fanno sempre più affidamento sui benefici economici derivanti da invalidità civile e accompagnamento. Ma incontrano anche qui difficoltà di accesso crescenti. Le priorità, dunque, oltre a rafforzare gli interventi, le politiche sociali e attuare il Piano Nazionale della Cronicità, sono: rilanciare gli investimenti sul SSN in termini di risorse economiche, di interventi strutturali per ammodernamento tecnologico ed edilizia sanitaria, nonché sul personale sanitario. E ancora una strategia nazionale nuova per governare tempi di attesa ed intramoenia; alleggerire il peso dei ticket e revisionare la disciplina che li regola tenendo conto anche dei cambiamenti sociali e dell’alto tasso di rinuncia alle cure. Tutto questo è necessario per dare risposte alle profonde disuguaglianze in sanità che ci vengono segnalate”.

Difficile per i cittadini accedere al servizio sanitario pubblico: poco meno di un terzo lamenta difficoltà, ritardi, eccesso di burocrazia e costi. Le principali problematiche in quest’ambito sono quelle delle liste d’attesa e dei ticket ed esenzioni, le prime con un dato stabile al 54,1% e le seconde con un aumento dal 30,5% del 2015 al 37,5% del 2016.

Liste di attesa: crescono i tempi per le visite specialistiche
Per quanto riguarda le liste d’attesa, i cittadini segnalano soprattutto tempi lunghi per accedere alle visite specialistiche, in misura di un valore che passa dal 34,3% del 2015 al 40,3%del 2016. Seguono, con il 28,1% delle segnalazioni (era il 35,3% nel 2015), i lunghi tempi per gli interventi chirurgici; al terzo posto le liste di attesa per gli esami diagnostici (dal 25,5% 2015 al 26,4% del 2016).

Ticket: pesano i costi elevati e la mancata esenzione 
Il 37,4%  denuncia i costi elevati e gli aumenti relativi ai ticket per la diagnostica e la specialistica, mentre il 31% esprime disagio rispetto ai casi di mancata esenzione dal ticket(in aumento, rispetto al 24,5% del 2015)  Oltre che per i ticket, i cittadini denunciano come insostenibili i costi per farmaci, intramoenia, RSA e protesi ed ausili.

Assistenza territoriale: va peggio che in passato
In aumento anche le difficoltà relative all’assistenza territoriale (dall’11,5% del 2015 al 13,9% del 2016): in particolare, quasi un cittadino su tre (30,5%) segnala problemi con l’assistenza primaria di base, soprattutto per rifiuto prescrizioni da parte del medico (anche per effetto del decreto appropriatezza) e per l’inadeguatezza degli orari dello studio del medico di base. In seconda battuta, il 16,6% ha difficoltà all’interno delle strutture residenziali come RSA e lungodegenze, a causa dei costi eccessivi della degenza (per quasi due su cinque), della scarsa assistenza medico-infermieristica (meno di uno su tre) e delle lunghe liste di attesa per l’accesso alle strutture (uno su cinque).
Il 15% ha problemi con la riabilitazione, in particolare in regime di degenza (45,4%): in due casi su cinque è valutato di scarsa qualità e in quasi un caso su quattro risulta assente per la carenza di strutture o posti letto. Poco meno del 30%  incontra problemi con la riabilitazione a domicilio, che non si riesce ad attivare o che viene sospesa all’improvviso. Inoltre, il 14,3% segnala criticità nell’assistenza domiciliare: in un caso su tre non sanno bene come attivare il servizio, a causa della carenza di informazioni o delle difficoltà burocratiche, o addirittura l’assistenza domiciliare è del tutto assente nella loro zona di residenza.
Crescono anche i problemi per l’assistenza protesica ed integrativa (dal 7,8 al 12,4%) sia per i tempi di attesa che per l’insufficienza delle forniture che li costringono a sostenere costi privati ulteriori.

Invalidità ed handicap: lunghe attese per il riconoscimento
Il 13,8% dei cittadini, in crescita rispetto al 2015, segnala disservizi per il riconoscimento che in più della metà dei casi risulta estremamente lento. In un caso su quattro l’esito dell’accertamento è considerato inadeguato alle condizioni di salute. Troppo lunghi inoltre, per il 15,8% dei cittadini che si rivolge a Cittadinanzattiva, i tempi di erogazione dei benefici economici e delle agevolazioni.
Per quanto riguarda la lentezza dell’iter burocratico, più della metà (52,6%) riscontra problemi nella presentazione della domanda; il 18,5% lunghe attese per la convocazione a prima visita (in media 7 mesi); il 14,8% attende troppo per la convocazione alla visita di aggravamento; il 10,4% per la ricezione del verbale definitivo (in media 9 mesi) e per l’erogazione dei benefici economici (12 mesi).

Presunta malpractice: diminuiscono gli errori ma va peggio su infezioni e disattenzioni del personale
In lieve diminuzione le segnalazioni su casi di presunta malpractice e sicurezza delle strutture: nel 2016 arrivano al 13,3% rispetto al 14,6% del 2015. La voce più rappresentata (47,9%) è quella dei presunti errori diagnostici e terapeutici, con alcune aree critiche che sono: per le diagnosi l’ambito oncologico (19%), ortopedico (16,4%), ginecologico ed ostetrico (12,4%); per la terapia, l’ortopedia (20,3%), la chirurgia generale (13,4%) e la ginecologia ed ostetricia (12,1%).
Cresce invece il dato sulle condizioni di sicurezza delle strutture (dal 25,7% al 30,4%) che riguardano soprattutto le disattenzioni del personale (13,6%), i casi di sangue infetto (5,4%) e le infezioni ospedaliere (5,4%).

Assistenza ospedaliera e mobilità: pronto soccorso in affanno e dimissioni facili
L’8,2% dei cittadini segnala problematiche nell’assistenza ospedaliera (88,2%) e nella mobilità sanitaria (11,8%). In riferimento alla prima voce, è soprattutto l’area della emergenza urgenzaad essere nel mirino delle lamentele delle persone che segnalano procedure di triage non trasparenti (42,9%) e lunghe attese al Pronto soccorso (40,5%). Segue il tema dei ricoveri, su cui i cittadini denunciano spesso di vedersi rifiutato il ricovero (34,5%), o che lo stesso è avvenuto in un reparto inadeguato (21,4%) e ancora la mancanza di reparti e servizi (7,2%). In particolare ciò avviene in oncologia, ortopedia e neurologia. In aumento, rispetto al 2015, le segnalazioni sulle dimissioni: il 58,8% le reputa improprie, il 29,2% ha difficoltà ad essere preso in carico dal territorio dopo la dimissione, che non risparmiano nemmeno i malati nella fase finale della vita (11,8%).
Sul fronte della mobilità sanitaria, quando cioè la persona è costretta a spostarsi (di regione o all’estero) per avere cure adeguate, il 48,7% denuncia il ritardo nei rimborsi per le spese sostenute, il 30,8% la mancata autorizzazione da parte della Asl di riferimento.

Farmaci: più segnalazioni su fascia A, farmaci indisponibili nelle farmacie e non commercializzati in Italia
Il dato generale mostra una flessione (dal 5,8% al 4,2%), ma evidenzia alcuni fenomeni in aumento: crescono le segnalazioni del mancato accesso ai farmaci per l’epatite c (44,4%); il 24,2% segnala l’indisponibilità dei farmaci; il 18,3% la spesa privata che per molti diventa insostenibile, soprattutto per i farmaci di fascia C, per l’onere derivante dalla differenza di prezzo fra brand e generico, e per l’aumento del ticket. Le segnalazioni si riferiscono prevalentemente a farmaci di fascia A (48,5% nel 2016; + 10 punti % rispetto all’anno precedente).

Scarica la Sintesi dei principali risultati e le infografiche  e le conclusioni e proposte di Tonino Aceti, Coordinatore nazionale Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva

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