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Corte dei Conti: relazione sulla Destinazione e gestione del 5 per mille

Il 24 dicembre scorso la Corte dei Conti ha reso pubblica la Relazione sulla Destinazione e gestione del 5 per mille (14/2013/G)

Riportiamo di seguito l’estratto iniziale relativo alla sintesi del documento.

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DESTINAZIONE E GESTIONE DEL 5 PER MILLE DELL’IRPEF

 

MAGISTRATO RELATORE: ANTONIO MEZZERA

 

 

Sintesi.

 

L’istituto del 5 per mille rappresenta un’ulteriore opportunità per il privato sociale di  farsi interprete di istanze solidali e mutualistiche e un tentativo di introdurre una forma di  democrazia fiscale all’interno dell’ordinamento italiano.

Peraltro, la sua mancata stabilizzazione attraverso una legge organica -in grado di  garantire la certezza delle risorse nel corso di un arco temporale ragionevole e la  definizione di tempi certi per l’erogazione dei fondi, al fine di permettere ai beneficiari di  programmare, con congruo anticipo, le attività- ha prodotto inefficienze ed inutili  appesantimenti burocratici.

Il quadro normativo dell’istituto risulta confuso ed inadeguato al possibile nuovo ruolo  istituzionale del privato sociale.

Inoltre, le attività di coordinamento, controllo e garanzia delle amministrazioni interessate appaiono ancora insufficienti, così come la loro capacità di favorire le  autonome iniziative dei cittadini.

Il tetto di spesa annuo è in contrasto con le determinazioni dei contribuenti,  riducendo, di fatto, la percentuale del contributo.

I ritardi nelle erogazioni –dovuti alla pluralità di amministrazioni coinvolte, con scarso  coordinamento tra loro, e a disfunzioni interne a ciascuna di esse- sono causa  dell’incertezza sulla disponibilità delle risorse per i beneficiari.

Il ricorso alle convenzioni –peraltro, non ancora stipulate per gli anni successivi al  2010- fra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Agenzia delle entrate appare  un modello organizzativo dispendioso, motivo di conflittualità e di allungamento dei  tempi.

L’analisi delle rendicontazioni procede lentamente ed in maniera assai laboriosa,  anche a causa dello scarso raccordo e dell’assenza di flussi informativi essenziali per il  suo svolgimento tra i Ministeri e l’Agenzia delle entrate.

L’attuale disciplina agevola, di fatto, gli organismi di maggiori dimensioni e più  strutturati. Ciò è dovuto alle maggiori capacità organizzative, alle superiori disponibilità  finanziarie ed alle migliori capacità di competizione per ottenere la sottoscrizione dei  contribuenti.

Peraltro, l’attribuzione delle risorse in base alla stretta capacità contributiva fa sì che  alcuni enti che possono raccogliere il favore di optanti abbienti ottengano, anche con un  basso numero di scelte, somme assai rilevanti.

Inoltre, altri, con un numero di scelte minime –anche di solo una o due-, ricevono  importi notevoli, per il fatto di essere sostenuti da contribuenti assai facoltosi. Ciò può  produrre effetti distorsivi, rischiando di piegare un istituto di rilevanza sociale a finalità  egoistiche e personali.

L’ammissione al beneficio degli organismi del volontariato è esclusa per gli enti con  personalità giuridica di diritto pubblico. Ciò non sembra del tutto coerente con le finalità  dell’istituto, tenendo conto che, per altre categorie, -ricerca scientifica, ricerca sanitaria,  Comuni-, la natura pubblica non osta all’attribuzione.

Per il finanziamento delle attività sociali svolte dai Comuni di residenza, la differente  capacità fiscale dei contribuenti sul territorio nazionale fa sì che i Comuni più ricchi  possano beneficiare, in proporzione, di maggiori introiti, senza alcun meccanismo di perequazione o coordinamento.

Per gli enti di sostegno alle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni  culturali e paesaggistici, non è prevista la scelta da parte dei contribuenti. Ciò suscita  perplessità, in quanto la mancata opzione è in contrasto con la ratio dell’istituto, venendo  attribuita all’amministrazione la determinazione dei destinatari. Inoltre, l’esclusione degli  enti di diritto pubblico appare arbitraria ed irrazionale, in quanto la scelta dei contribuenti  si riferisce all’attività in sé di tutela, promozione e valorizzazione. Peraltro, la limitazione  del finanziamento ai soli enti privati non appare nemmeno sulla scheda di scelta.

Deve essere migliorata la trasparenza dei dati inseriti sulla rete web. Infatti, spesso,  non sono identificabili i beneficiari, a causa dell’assoluta genericità nell’indicazione di essi.

Inoltre, non vengono pubblicati i dati aggregati dei contributi ottenuti dagli enti presenti  in più elenchi. Infine, per gli enti di sostegno ai beni culturali e paesaggistici, non viene  comunicato il contributo ricevuto.

La percentuale degli optanti fra coloro che non presentano la dichiarazione dei redditi  è minima e, pertanto, risulta disincentivata la contribuzione al 5 per mille di un rilevante  numero di persone, generalmente quelle a più basso reddito.

Nessuna scelta è possibile per i milioni di cittadini che non pagano l’Irpef e che,  pertanto, sono esclusi da tale forma di partecipazione.

Sussiste un conflitto di interesse di numerosi enti che, anche indirettamente, gestiscono i Centri di assistenza fiscale e sono potenziali beneficiari del 5 per mille.

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è stato il solo a sottoporre la gestione  del 5 per mille al controllo interno. Tuttavia, la valutazione dei risultati appare del tutto

autoreferenziale, mancando l’apporto valutativo-correttivo dell’organismo a ciò deputato  ed il riscontro sull’efficacia dell’intervento.

 

File allegati:

20131224 Corte dei conti su 5×1000 delibera_14_2013_g.pdf

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