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Lettera per Ezio Mauro, Direttore del quotidiano La Repubblica

Pietro Barbieri PortavoceIl portavoce nazionale del Forum del Terzo Settore Pietro Barbieri replica all’editoriale dell’economista Tito Boeri “Quei tre anni di contratti a tempo”, comparso nell’edizione di venerdì 14 marzo 2014 del quotidiano La Repubblica, su mercato del lavoro nel terzo settore.

(pubblichiamo a seguire anche la risposta ricevuta dall’autore del pezzo nell’edizione di martedì 18 marzo)

Roma 14 marzo 2014

Egregio Direttore,
facendo riferimento all’articolo “Quei tre anni di contratti a tempo”, comparso nell’edizione odierna del quotidiano che Lei dirige, e a firma di Tito Boeri,  ci imbattiamo, non senza disappunto, in un riferimento poco gradevole verso il terzo settore, e nello specifico di attacco alle dinamiche del mercato lavorativo all’interno di esso.

Ci teniamo a sottolineare che a nostro avviso si tratta di una valutazione superficiale che non tiene conto dei dati reali confermati dal IX Censimento industria e servizi, istituzioni e non profit dell’Istat e richiamati, in più di una occasione, dallo stesso Premier Renzi, che ha definito il terzo settore come ‘primo’ per i numeri che produce. Il terzo settore è in grado di offrire nuove opportunità occupazionali, non sostitutive dei posti forniti dal settore pubblico e privato. Con 4 milioni e 758 mila volontari e 680 mila dipendenti il non profit costituisce la principale realtà produttiva del nostro Paese nei settori dell’assistenza sociale e delle attività culturali, sportive, di intrattenimento e divertimento (si contano 239 istituzioni non profit ogni 100 imprese) ma soprattutto nell’assistenza sociale con 418 addetti non profit ogni 100 addetti nelle imprese. Un ruolo fondamentale quindi, che purtroppo non ha trovato, in questi anni, il giusto sostegno e il dovuto riconoscimento da parte dei governi che si sono succeduti.

Le politiche di welfare non hanno aiutato il terzo settore, nonostante i suoi numeri, ma anzi lo hanno messo più volte nella condizione di sentirsi abbandonato e non poter svolgere le sue attività al meglio. Un sistema come il nostro, costituito essenzialmente da spesa privata, ha valorizzato poco il terzo settore, non concorrenziale con gli altri tipi di offerta fondati sul sommerso. In quest’ottica non possiamo non raccogliere la provocazione che ci viene lanciata oggi nell’articolo su citato. E’ vero che il precariato esiste nel non profit, così come sono un’evidenza salari ‘più bassi’. E’ pur vero che il precariato caratterizza gran parte del mercato lavorativo del nostro Paese e risulta complesso esserne esenti quando mancano politiche adeguate di sostegno all’inserimento lavorativo, mentre per quanto riguarda le retribuzioni più basse rispetto alla media (quindi al settore del profit), le ragioni sono diverse. Ricordiamo innanzitutto che l’ambito di azione delle realtà di terzo settore è spesso un ambito non particolarmente redditizio che dunque non consente di corrispondere stipendi molto elevati, che stipendi più elevati possono significare minore investimento economico in servizi, e quindi la consapevolezza e la buona disposizione di chi lavora nel terzo settore a percepire uno stipendio più basso, spinto da un’alta motivazione etica. Questo non significa tuttavia sfruttamento o non rispetto dei diritti dei lavoratori. Ricordiamo il caso delle cooperative sociali che partecipano ad appalti pubblici. Finché continuerà a vigere il meccanismo del massimo ribasso, le cooperative saranno quasi naturalmente escluse perché, per rispettare procedimenti di trasparenza e di tutela dei livelli contrattuali previsti dalla legge, saranno costrette a fornire servizi a costi più alti. Il punto è riconoscere il nostro ruolo a livello politico ed attuare un cambiamento di prospettiva rispetto al welfare e alla consapevolezza del benessere che il terzo settore produce per i cittadini, offrendo i servizi che altrimenti difficilmente sarebbero loro garantiti (ricordiamo che troppo spesso siamo stati considerati un costo da tagliare).

Infine ci chiediamo cosa sia successo rispetto a quel 9 luglio di due anni fa quando Boeri, nell’articolo “Il mestiere delle fondazioni” dedicava un paragrafo a “L’importanza del terzo settore”, ne definiva ‘cruciali’ e ‘vitali’ le attività.

Pietro Vittorio Barbieri
Portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore

 

18/03/2014 La Repubblica – Ed. nazionale
pag. 26

Risposta Boeri a Portavoce_18.03.2013

La risposta di Tito Boeri

“Proprio perché ritengo strategico il terzo settore, credo che non possa permettersi di lasciare senza tutele i propri lavoratori. Il suo portavoce dovrebbe riconoscere che estremizzano il dualismo del nostro mercato del lavoro, che hanno anticipato di almeno vent’anni. Fin dal 1997 il terzo settore contava il 60% di lavoratori atipici senza prendere in considerazione i finti lavoratori autonomi. Fra questi ultimi la figura dei “soci lavoratori” delle cooperative sociali, dipendenti di fatto, che assumono su di sè anche i rischi d’impresa. Oggi più del 50% dei lavoratori delle cooperative sociali sono soci lavoratori.” (t. b.)

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